Radicalizzazione: necessità di una risposta condivisa

Il fenomeno della radicalizzazione all’interno delle comunità musulmane in Europa occupa comprensibilmente un ruolo centrale nella pubblica opinione. I recenti atti terroristici perpetrati da individui che pretendono di agire in nome dell’Islam hanno causato un acceso dibattito . Purtroppo le discussioni e i dibattiti attorno alla radicalizzazione sono stati in gran parte dominati da interessi di parte e di opportunità politica. È di fondamentale importanza arrivare ad una posizione ricca di sfumature su questo complesso fenomeno, con affermazioni teoriche che siano motivate empiricamente.

Il termine ‘radicalizzazione’ è generalmente un termine controverso. Può implicare diverse posizioni, tra cui una reazione all’ortodossia o rompere con idee politiche tradizionali, ecc. Tuttavia, nel contesto di questo dibattito postula la manifestazione di un pensiero e di un comportamento estremisti che raggiungono il culmine con la pianificazione e l’esecuzione di atti terroristici.

Noi dell’European Muslim Network (EMN) crediamo che i discorsi attuali sulla radicalizzazione, soprattutto in campo politico, così come [anche nei principali mezzi di comunicazione, siano ormai asserviti a narrazioni che sono espedienti politici e controproducenti. Questi racconti sono di natura riduzionista, trattano i musulmani come entità monolitiche e sono in contrasto con l’evidenza empirica.

Il EMN ritiene che i dati oggettivi debbano essere meticolosamente analizzati. Il fenomeno è davvero complesso e le variabili sono multiformi. Tuttavia sembra abbastanza convincente valutare le opinioni di ricercatori insigni e professionisti della radicalizzazione, i quali [sostengono che] il processo non è una maturazione deterministica a lungo termine da un ambiente politico o islamico. [Tutto ciò] sembra essere in contrasto con un’attrazione improvvisa verso la violenza. Ricercatori e professionisti sostengono che il ruolo dell’Islam nella radicalizzazione è grossolanamente sovrastimato. Essi affermano che l’evidenza oggettiva è estremamente sottile rispetto alla religione e all’ideologia come motivazioni principali per l’estrema radicalizzazione. La radicalizzazione sembra essere un problema sociale complesso.

I dati empirici implicano diverse influenze verso la radicalizzazione che comprendono alcuni dei seguenti [punti]: forte rabbia causata dalla ingiustizia percepita; pretesa superiorità morale; un senso di identità e di scopo; la promessa di avventura e il mito dell’eroe. La religione e l’ideologia sono poi utilizzati selettivamente come espedienti per presentare una mentalità “noi contro loro” che viene spesso utilizzata per giustificare la violenza.

I dati, dimostrano che questi radicali non erano quasi mai aderenti a una qualche organizzazione musulmana locale. Questi radicali non hanno una dimensione teologica. La loro conoscenza dell’Islam sembra essere molto limitata e usano miti religiosi con scopi emotivi. Non sono una avanguardia di una comunità musulmana. L’evidenza suggerisce una connessione limitata con la comunità musulmana e una situazione di isolamento dalla maggior parte delle loro famiglie.

Pigre ipotesi e analisi, che purtroppo sono state prese sul serio dai politici, sono controproducenti e pericolose. Non esiste un unico percorso di radicalizzazione. Per alcuni il percorso verso atti terroristici comporta la continuazione di un passato violento e instabile. L’estremismo violento con la copertura della religione o dell’ideologia è una continuazione del loro stile di vita precedente. Altri appaiono più integrati, quindi, le ragioni per la radicalizzazione sono più varie.

Enormi fasce della popolazione musulmana in Europa sono sottoposte a sospetti infondati e a demonizzazione.

La destra politica, così come i loro media sembrano determinati a confondere erroneamente queste questioni con la tesi dello scontro di di civiltà. I musulmani sono stigmatizzati e politiche come la “Strategia di Prevenzione” in Gran Bretagna sono percepite dalla stragrande maggioranza dei musulmani come una caccia alle streghe di maccartista memoria . La strategia della “Prevenzione dell’Estremismo Violento” (Prevent) è il programma principale del governo britannico per prevenire l’estremismo violento alla radice, e l’elemento di punta della sua più ampia strategia antiterrorismo. La strategia sostiene l’affermazione che per prevenire il terrorismo [bisogna] comprendere la prevenzione della radicalizzazione dei musulmani vulnerabili. Le comunità locali hanno il potere di affrontare questa sfida e sono responsabili per la costruzione della resilienza di queste comunità contro l’estremismo violento.

Il punto di vista prevalente di esperti e professionisti di radicalizzazione comunque è che le politiche nazionali di alcuni paesi europei verso i musulmani, stanno aiutando il processo di radicalizzazione. Ad esempio, strategie come “Prevent” sono sbagliate e controproducenti. La politica è piena di ragioni sbagliate, persone sbagliate, metodi sbagliati, conseguenze sbagliate. In primo luogo, la sua teoria della ‘radicalizzazione’ ha scarsa validità empirica e le viene data una definizione vaga. Non è stato stabilito come la ‘radicalizzazione’ necessariamente conduca alla violenza. La sua focalizzazione esclusivamente sui musulmani come potenziali estremisti è controproducente. Crea una ‘comunità sospettata’ e allontana i musulmani britannici; e il risultato è che i gruppi dell’antiterrorismo trascurano i molti potenziali estremisti di altre fedi o di nessuna [fede, ossia estremisti di destra o di sinistran.d.t). La decisione di finanziare gli enti locali sulla base di aree con un’alta popolazione musulmana crea l’idea di una comunità sospetta. L’uso controverso dei fondi per scopi di spionaggio ha dimostrato di portare alla alienazione.

Inoltre, la strategia anti-radicalizzazione attuale del governo britannico si basa interamente sulla screditata “teoria del nastro trasportatore”. Questa teoria sostiene che le idee conservatrici conducono al fondamentalismo, che successivamente porta alla radicalizzazione e al terrorismo. Questa è una motivazione estremamente riduttiva, che sostiene che la radicalizzazione sia lineare, una progressione inarrestabile dall’ “estremismo non violento” all’ “estremismo violento”, con la maggior parte della focalizzazione sui fattori ideologici.

Questa formulazione semplicistica, decontestualizzata è molto debole per quanto riguarda i dati empirici . Anche l’MI5 (agenzia di intelligence interna della Gran Bretagna), ha messo in discussione questa teoria affermando che la maggior parte di coloro che sono coinvolti nel terrorismo sono “lungi dall’essere fanatici religiosi”. MI5 continua a dire che, di fatto, “ci sono prove che un’identità religiosa consolidata in realtà protegge contro la radicalizzazione violenta.” La teoria del nastro trasportatore è una comoda narrazione semplificata, non serve a nessun vero proposito di sicurezza vera e propria, e spesso si traduce nel maltrattamento di persone di innocenti.

La comunità musulmana ha bisogno di essere maggiormente attiva nel cercare di rispondere ai problemi di radicalizzazione. Coloro che hanno ruoli importanti nelle comunità musulmane devono collaborare e allocare efficacemente le risorse, nel tentativo di contrastare la propaganda estremista. Questo è un problema sociale e delle utili collaborazioni possano essere attivate tra le diverse comunità per contrastare ogni retorica estremista, musulmana o islamofobica.

Il numero di giovani che aderiscono ISIS in Siria è infatti sempre più preoccupante.

Oltre a garantire che lo Stato controlli questi individui devono essere identificate le cause profonde per i [scoprire] i motivi per cui questi si stanno unendo a tali gruppi nichilisti.
Questa questione deve essere libera da manovre politicizzate e deve invece essere basata sulla realtà oggettiva, e quindi consentire meccanismi di risposta efficaci tali da essere attivati a tutti i livelli.

Quando gli individui sono diventati molto radicalizzati, al punto che possono trovarsi al livello di perpetrare violenza, solo le forze dell’ordine possono intervenire. Se si possono identificare preventivamente, quando cominciano ad essere attratti dall’estremismo violento, è possibile intervenire e contrastare gli effetti di un aggravamento della radicalizzazione.

Dovrebbe essere offerta consulenza familiare alle persone che sospettano segni di radicalizzazione all’interno della cerchia dei membri della loro famiglia. Le sessioni di consulenza possono avvalersi dell’aiuto della polizia, di leader di comunità, di studiosi religiosi e di membri delle reti di sostegno individuali. La questione della radicalizzazione non può essere affrontata solo attraverso le lenti della sicurezza, ma deve essere vista come un complesso problema sociale, proprio come dimostrano i dati empirici.

L’affermazione che la questione della radicalizzazione sia una manifestazione di uno scontro di civiltà è una profondamente errata, priva di qualsiasi sostanza. E ‘un dato di fatto che molte delle vittime del terrore inflitto da cosiddetti gruppi islamici sono essi stessi musulmani. Questi gruppi estremisti agiscono similmente a[i seguaci] di culti di morte nichilisti senza alcun riguardo per la sacralità della vita umana.

Nonostante la minaccia alla sicurezza reale di quello che viene chiamato ‘terrorismo islamico’, esso non costituisce la più grave minaccia all’esistenza europea come [invece] sostenuto dai polemisti di destra. La questione del terrorismo islamico viene erroneamente associata a concetti come la religione e l’immigrazione. Il deliberato e politicizzato emergere della minaccia musulmana, ha facilitato l’odio e la rappresentazione dei musulmani come dell’ ‘altro’, ha portato a livelli preoccupanti di islamofobia. Questo fenomeno ha anche bisogno di essere affrontato dagli Stati come una questione di [massima] urgenza.

Politica estera / fattori geopolitici: Ci sono profondi rancori tra alcuni giovani musulmani verso le politiche estere occidentali nei confronti del mondo musulmano. Quella rabbia e risentimento possono purtroppo essere vulnerabili alla narrazione estremista. Questa è una delle variabili importanti nella radicalizzazione. Il ruolo della politica estera non può essere negato in quanto i dati oggettivi sono convincenti. Citare questa causa non significa sottovalutare o giustificare atti estremi. Le principali cause devono essere precisate indipendentemente da quanto possa apparire politicamente scomodo ad alcuni. C’è bisogno di uno sforzo concertato da parte dei soggetti interessati all’educazione, specialmente dei giovani per incanalare le loro rimostranze e i loro disagi in modo produttivo, legale e democratico.

Fattori socio-economici: in alcuni casi i dati suggeriscono che la frustrazione unita ad un livello socio economico basso sono in grado di influenzare il processo di radicalizzazione. L’isolamento economico e il disagio possono rendere alcuni individui ricettivi alla retorica estremista.

Islamofobia: I giovani musulmani che sono oggetto di razzismo e intolleranza a causa della loro religione, possono essere spinti verso predicatori estremisti che rivendicano la retorica del ‘noi contro loro’. L’Islamofobia (l’altra faccia dell’estremismo) è una manifestazione o paura di un Islam escludente, e questo può avere effetto negativo (diretto o indiretto) sui giovani musulmani che si sentono esclusi, soggetti al razzismo da Islamofobi. Come afferma Louise Burdett Uniti, l’Islamophobiais è una “co-radicalizzazione reattiva”

Analfabetismo religioso: un risultato evidente ottenuto tramite il riscontro sul terreno testimonia che coloro che sono radicalizzati hanno fondamentali lacune in termini di alfabetizzazione islamica. Questo non è sorprendente dato che l’ignoranza rende gli individui inclini ai demagoghi. E’ importante che gli studiosi musulmani esperti di pensiero islamico e pensiero moderno siano attivi nella diffusione della conoscenza, educazione e orientamento, in particolare verso i giovani. Dove c’è un legame con la religione – leader musulmani e gli studiosi religiosi devono non solo recidere questo legame con le normative dell’Islam, ma ammettere che un po’ di teologia viene utilizzata per giustificare le loro azioni. Gruppi come ISIS usano l’Islam, e abbiamo bisogno di una risposta forte che renda chiaro ciò che è islamico e che cosa non lo è.

In realtà, vi è un legame problematico tra gli ulema (studiosi islamici) e alcuni dei dittatori nel mondo musulmano. A causa di molti ulema che agiscono spesso come “agenti del governo”, al contrario di una rigorosa posizione di principio che dovrebbe essere tenuta dai leader religiosi – i giovani guardano ai meno esperti nella formazione islamica tradizionale per avere risposte, in quanto sono visti come maggiormente integri. Purtroppo i cosiddetti ‘ulema tradizionali’ sono scollegati, spesso carenti di capacità di comunicazione di base per connettersi con i giovani. La sfida all’insegnamento dell’Islam in Europa rappresentata dai cosiddetti ‘mufti globali’ e demagoghi che comunicano attraverso i social media non può essere ignorata. L’Islam è spesso insegnato in isolamento, senza moschee o organizzazioni islamiche. Ciò crea spesso l’alienazione, che porta alla radicalizzazione.

Ideologico / letteralismo: Spesso i radicali o estremisti manipolano concetti tradizionali come Shar’iah, Jihad, Al Wala Wal Bara, Dar al Harb e Dar Al Islam. Le nozioni stesse di Califfato, Stato islamico e altri non sono definiti o discussi in modo coerente, invece questi radicali o estremisti spesso usano solo le parole / terminologie, idealizzano il passato (epoca pre-moderna) e manipolano le menti dei giovani vulnerabili.

Allo stesso modo, respingeranno o ignoreranno i concetti moderni / occidentali come democrazia, stato-nazione, pluralismo religioso, libertà di parola, ecc. Mancando di comprensione di questi concetti e accompagnato dai doppi standard (due pesi e due misure) occidentali in politica estera, il risentimento si infiamma contro questi concetti universali .

Spiritualità emozionale: Molto spesso scopriamo che le persone confondono la spiritualità con le emozioni, e le azioni religiose con le emozioni. Come dice il professor Tariq Ramadan, ‘non dobbiamo confondere la spiritualità con le emozioni e le nostre politiche non devono essere guidate dalle emozioni’. Le politiche emotive e la spiritualità possono portare i giovani ad una crisi di identità, dove le identità religiose e nazionali sono slegate. I radicali o estremisti hanno una conoscenza paradossale dell’identità, in quanto essi credono che qualsiasi identificazione nazionale sia in qualche modo incompatibile con una identità islamica. Spesso non si sentono a casa, adottano un rifiuto all’ingrosso dell’identità occidentale/europea, o [rifiutano] qualsiasi forma di attaccamento al loro stato-nazione. Adottano piuttosto una visione binaria (e un concetto utopistico come lo Stato Islamico), una nostalgica idea di essere parte della comunità immaginata.

Noi crediamo che ci debba essere una risposta condivisa da parte di tutti i membri della nostra società, dai gruppi civici ai mezzi di comunicazione alle istituzioni governative. Dobbiamo smettere di incolparci l’un l’altro e lavorare insieme per offrire una risposta comune che affondi le sue radici nel bene comune per tutti:

1.Le comunità musulmane di tutta Europa devono essere attive nel conciliare le loro credenze con il loro ambiente e contrastare con fiducia la retorica estremista da un punto di vista islamico.

2. Noi, persone di fede e di nessuna fede, necessitiamo di un discorso politico che affronti le esperienze dei musulmani europei, e di un discorso che operi attivamente con tutti gli attori della società per il bene comune. Dobbiamo generare un discorso politico che è meglio descritto come ‘ fedeltà critica ‘. Non abbiamo bisogno di piegarci alle pressioni delle autorità politiche e concordare con tutte le loro politiche. Dobbiamo raggiungere tutti per creare un discorso che sia fiducioso di sé, coerente con i principi e autocritico, se necessario.

3. La formazione e il ruolo della famiglia. Dobbiamo produrre un maggior volume di letteratura e materiali religiosi, che guidi praticamente a trattare con le esperienze contemporanee di vita europea. Ai genitori musulmani dovrebbe essere offerto un sostegno concreto, ove necessario, in termini di allevare efficacemente i bambini con identità multiple (il loro livello europeo, nazionale, etnico, religioso, ecc). Questo dovrà cambiare in base alle esigenze in diversi paesi europei.

4. La radicalizzazione non è né un problema islamico né un problema che riguarda unicamente i musulmani, si tratta [invece] di un problema comune. Noi tutti, uomini di fede e di nessuna fede, dobbiamo diventare la forza trainante per risolvere i problemi. Il fatto è che nessun governo o istituzione risolverà il problema senza i musulmani. I musulmani dovrebbero essere visti come un valore aggiunto, piuttosto che come un peso.

Noi di EMN crediamo che i musulmani europei siano arrivati ad uno snodo importante nella loro storia. E’ importante che mostriamo nella pratica, alla gente, la riconciliazione delle nostre molteplici identità, che arricchiscono il paesaggio dell’Europa. Siamo stati sulla difensiva per troppo tempo, invece dobbiamo agire con tutti gli esseri pensanti e gruppi per identificare le cause di odio, fanatismo, pensiero e comportamento estremista e cercare di portare risultati positivi per tutti noi.